Autori: Elita Schillaci, Marco Romano,
Editore: McGraw-Hill Education, Milano 2016, pp. 316.

“Straight up significa elaborare i segnali del mercato e fornire pronte risposte, in sintesi, creare organizzazione in una dimensione di tempo strategico”. Elaborare, fornire, creare. Un processo virtuoso che si sviluppa in un tempo operativamente utile.

Ma chi compie tale processo? E in vista di che cosa? “Non si può comprendere a fondo il processo di nascita di una startup, né interpretarne le evoluzioni, o valutarne il business plan, se prima non si cerca di capire chi è l’imprenditore, quali spinte lo inducono ad avviare il complesso e delicato processo della genesi, quali sono i tratti della personalità che governano la nuova organizzazione”.

Si tratta di due assunti chiave del libro che Elita Schillaci e Marco Romano hanno dedicato alle nuove imprese: Straight up. Percorsi strategici per nuove imprese, edito da McGraw-Hill Education.

La prima parte del titolo, Straight up, significa letteralmente “dritto in alto”, ma leggendo il testo si capisce immediatamente che gli autori usano il termine in un senso molto più vasto: “vai avanti per la tua strada, in modo veloce, tenace e diretto”.

Siamo di fronte a un esplicito cambiamento di prospettiva. Al centro del fare impresa c’è saldamente il fattore umano, più che quello meramente tecnico e procedurale che pure ha la sua importanza. Schillaci e Romano non esitano ad ampliare lo spazio di osservazione e chiamano in causa la sociologia, le neuroscienze e, per la prima volta in un testo di economia, la psicologia analitico transazionale, alla quale è dedicato il terzo capitolo “Spinte motivazionali, bisogni e copioni imprenditoriali”.

Ma andiamo per ordine.

Quattro sono le aree tematiche attorno a cui si struttura il libro: Who, Why, How, What. Aree che non si riferiscono soltanto al fare dell’imprenditore, ma anche, e soprattutto, alla spinta motivazionale che sta alla base delle sue scelte, come ad esempio, per dirne solo una, quella di aver pensato all’idea di una impresa. Perché poi dall’idea si passa alla pianificazione, al business plan, al contatto con il contesto, sia con quello in cui si è scelto di operare sia con quello di riferimento in termini di mercato.

Credo sia opportuno inserire qui un riferimento all’ecosistema, un sistema che ecologicamente include colui che contribuisce a crearlo. È come se quell’ormai vecchia affermazione – il tempo è fuori squadra – trovasse una risposta in questo settore. Siamo fin troppo consapevoli del fatto che la crisi economica generatasi nel 2008 ha ancora molti effetti a distanza di anni. E una delle conseguenze più rilevanti è stata la frattura, l’evidente distinzione tra persone e contesti. La sfida non è quella di riequilibrare il tutto, bensì quella di eliminare la distinzione per iniziare a pensare e agire in modo ecologico: una modalità che gli autori del libro mettono in rilievo attraverso il riferimento ai family friends e agli investitori istituzionali, ai business angel e al crowdfunding. Il processo di nascita e sviluppo dell’impresa è visto attraverso il prisma della fiducia, degli incubatori, dei parchi scientifici, luoghi che possono rappresentare e rappresentano contesti fertili quando istituzioni e startup dialogano in senso co-costruttivo.

Torniamo ora all’imprenditore, alla sua personalità e accostiamola al concetto di fiducia. “La fiducia è l’ipotesi di un comportamento futuro abbastanza sicuro per potervi fondare un agire pratico”. Schillaci e Romano utilizzano le parole di George Simmel per connettere l’idea dell’impresa a quella di investimenti, o meglio, l’imprenditore all’investitore. I soggetti, in questo caso, fanno la differenza rispetto agli oggetti, anche perché sono il mercato e i prodotti che devono girare intorno all’imprenditore e non viceversa. Quindi personalità, comportamento, motivazione. Gli autori, all’inizio del libro, propongono il test PACE, acronimo di Personalità – del fondatore, Ambiente – dove è cresciuto, Competenze – che possiede, Esperienze – attraverso cui si è formato. Un test per capire il business a partire dalla consapevolezza della propria spinta imprenditoriale.

La success proactive del soggetto imprenditoriale è il turning point. Perché è necessario scoprire che cosa c’è alla base dell’intenzione, delle motivazioni di fondo dell’agire imprenditoriale e “

[…] solo esplorando l’aspetto psicologico di un individuo che possono emergere le risposte più dirette”. Ritorniamo così all’Analisi Transazionale, la cui “applicazione al processo di genesi della nuova startup consente di valutare lo stato di maggiore o minore benessere psichico del futuro imprenditore e gli effetti prodotti dal suo stato sulla nuova impresa”. Che cosa desidera un imprenditore? Avere successo, superare i momenti critici, gestire in modo efficace lo stress. La storia personale, che prende avvio dalla famiglia di origine, è discriminante rispetto alla struttura e alla cultura della nuova impresa. Spesso in azienda tendono a ripetersi le stesse dinamiche che l’individuo ha visto verificarsi nel corso della sua esistenza La razionalità, tanto sbandierata come l’unico modo efficace per riuscire bene, è accompagnata da fattori emozionali, inconsci. Esserne consapevoli, questa è la sfida. L’analisi della dinamica dei bisogni e la comprensione del copione dell’individuo-imprenditore aiutano a spiegare il Why della nascita della startup. Con l’analisi del copione, che magari non è del tutto soddisfacente e che tende a rendere rigidi i movimenti ma che da sicurezza perché rende prevedibili gli eventi, possono emergere bisogni arcaici insoddisfatti che si traducono in varie forme di “fame”, di stimoli, di riconoscimento, di struttura. L’analisi del copione serve anche per definire l’idea di vita che è alla base del comportamento dell’imprenditore e come si evolveranno le sue azioni, verso il successo oppure no perché il copione dell’imprenditore condiziona le strategie e i percorsi organizzativi che l’impresa adotta. In questo senso, la nascita di una startup può essere l’occasione per riscrivere il cambiamento, un’opportunità di destrutturazione rispetto a scelte e percorsi del passato; una possibilità di cambiare rotta quando questa prevede credenze limitanti e schemi di comunicazione rigidi che non portano al successo.

Quando si pensa alle startup viene in mente la creatività. Questa non è solo patrimonio di chi è molto curioso, immaginativo, avventuroso, ma anche di chi è molto competente. La creatività, dicono Schillaci e Romano, può essere deliberatamente “allenata con l’esercizio e stimolata dall’ambiente”. In termini analitico transazionali, la creatività, insieme all’intuito, è riferita allo stato dell’Io Bambino (B). In una personalità proattiva e orientata alla traduzione in realtà di un’idea d’impresa, il B deve far parte di una soggettività integrata, dove lo stato dell’Io Genitore (G) indichi i percorsi e fornisca regole protettive e l’Adulto (A) sia orientato a strategie ed azioni.

Una personalità integrata e consapevole metterà in campo transazioni funzionali a un’ecologia delle relazioni umane, valutando, nella fase iniziale, dell’allertness, le opportunità del contesto a partire dal potenziale che percepisce di sé. Le transazioni saranno centrali anche nelle fasi successive: ricerca di risorse, acquisizione dei contatti con i fornitori, conquista della fiducia dei primi clienti, rapporto con i finanziatori. Gli scambi transazionali con gli stakeholder sono condizionati alla base dalle posizioni esistenziali del futuro imprenditore.

Di procedure, di psicologia, di contesti. Ma anche di alchimia tra talento, passione e progettualità. Di questo e molto altro parla il libro di Schillaci e Romano, un testo dove ci si imbatte in espressioni come “cervello altruistico”, “cervello sociale”, di “network sociale”. Un testo che è come una cassetta degli attrezzi per realizzare startup con metodo, seguendo un approccio multidisciplinare. Forse potremmo addirittura parlare, seguendo il pensiero di Edgar Morin, di transdisciplinarietà, un metodo, appunto, che presuppone un forte orientamento ai saperi che si intersecano e che co-costruiscono una nuova direzione.

Anche perché quando avremo capito che non possiamo avere un controllo assoluto del mondo, allora e solo allora avremo compreso che il mondo non è misurabile, e lo è ancor di meno se spezzettato in segmenti. Soprattutto poi, se non consideriamo anche noi stessi nel mondo.

Giacomo Brucciani, Formatore e consulente
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