Due parole per iniziare
Storytelling
e aziende è un binomio interessante, che sempre più spesso, però, si riduce all’offerta di strumenti e tecniche a buon mercato, utili subito: migliorare le performance, i processi, il brand…
Agli antipodi di questa tendenza troviamo il recente libro di Pier Luigi Celli – Organizzazioni sull’orlo di una crisi d’identità. Il sottotitolo del libro, poi, è di per sé eloquente: Sul perché sia indispensabile tornare a generare storie e recuperare valori manageriali dispersi. Tra i tanti temi che vengono affrontati da Celli, tutti intrecciati al tema del racconto, ce n’è uno che mi interessa porre subito in evidenza: la costatazione che ogni azienda nel corso della sua storia si è dotata di anticorpi per vivere e sopravvivere nei contesti in cui ha operato e opera, costruendo una propria esperienza per fronteggiare le minacce esterne; così facendo, però si è fatta strada la sicurezza rigida di chi ha creduto di sapere affrontare qualsiasi problema, e le competenze Soft si sono ridotte a qualcosa di puramente amministrativo. La conseguenza è chiara: “le attività umane vengono ridotte a indicatori di performance e queste a costi e benefici” [Celli, 68].

Storytelling e cultura aziendale
Parlare di Storytelling e aziende significa affrontare un tema fondamentale: il tema del senso e del significato del lavoro. A quale scopo, però?
Non chiarendo lo scopo, non si può parlare nemmeno di obiettivi, si rimane sulla superficie e sul già conosciuto e si rischia di dare un messaggio sbagliato.
Storytelling letteralmente significa “raccontare una storia”. E raccontare una storia non è banale perché “Solo le storie rassicurano se ci sarà una durata e un senso. Solo le storie danno vita” [Celli, 37].
La storia non è solo tradizione. La storia e il saperla raccontare in termini aziendali significa avere a che fare con i valori e la cultura organizzativa. Tutto questo acquista un significato maggiore quando, per esempio, succedono i così detti eventi “inattesi” o “inaspettati”, momenti durante i quali il tessuto organizzativo subisce una forte sollecitazione e le certezze sembrano frantumarsi; oppure quando tentiamo di resistere ai cambiamenti, divenuti però inevitabili perché contestuali. Gli eventi inattesi, in realtà, sono il frutto di segnali deboli che non siamo stati in grado di interpretare correttamente quando hanno iniziato a manifestarsi. Perché? Perché non li abbiamo considerati importanti, perché abbiamo scelto di voltarci dall’altra parte o forse perché abbiamo sperato che non avrebbero generato conseguenze. In altre parole, la nostra attitudine verso tali eventi dipende dalla cultura aziendale che abbiamo.

Aziende allo specchio
Dato che le aziende non sono cose bensì superorganismi anche a loro, come alle singole persone, può accadere di guardarsi allo specchio, magari perché sollecitate da “eventi inattesi”, per più tempo del solito e perdersi in quello sguardo che può rivelare cose nascoste. Meglio sarebbe se fossero allenate a guardarsi costantemente allo specchio, in modo da essere pronte in caso di “imprevisti”. Ma allenarsi a guardare nello specchio significa che la cultura aziendale è pronta a fare i conti anche con i processi che non vanno bene, con i fallimenti, con gli errori di progettazione. “I racconti che fanno di se stessi gli esseri umani e le organizzazioni e, ancor più il modo di raccontarsi, sono una miniera di informazioni su di loro, sulla percezione che hanno di sé, sulla propria identità che possono, attraverso la narrazione copionale, essere lette con diversi obiettivi e a diversi livelli di profondità; ma ciò che più conta possono diventare un momento di riflessione sul senso della propria esistenza fino a ora e sull’orientamento da dare al proprio presente e al proprio futuro” [Cosso, 10-11].

Aziende e copioni
Si parla di “narrazione copionale”, vediamo cosa significa “copione”. Il termine è in uso nell’Analisi Transazionale (metodo adottato da PerFormat Business) e, se declinato all’ambito aziendale, significa “un piano di vita, in parte conscio e in parte inconscio, che indirizza il comportamento degli individui e delle organizzazioni che costruiscono”. Ovvero, è ciò che guida un’azienda fin dalla sua fondazione, in termini di cultura, valori, mission, e assunti di base per dirla con Edgar Schein, e che può essere orientato al successo, alla banalità oppure al fallimento.
Bene, il copione ci può dire da dove veniamo, dove siamo e dove stiamo andando. Ce lo può dire, certo, ma se vogliamo saperlo. Saper leggere la propria storia diventa allora fondamentale. Così come generare storie, modalità indispensabile per recuperare il senso di identità aziendale e progettare consapevolmente nuovi modelli organizzativi scevri da ingessature – copionali, diremmo noi – che ne impediscono i movimenti, in un mondo che è sostanzialmente cambiato negli ultimi venti anni: “In molti casi la confidenza nella propria storia porta a forme di vera e propria hubrisorganizzativa che, collocando in alto il solo punto deputato legittimamente alla visione e alla interpretazione dei fatti, produce cecità periferica, opacizzando lo sguardo e rattrappendo la prospettiva” [Celli, 18]. A meno che non si voglia, per diversi motivi, cristallizzare realtà e modalità organizzative, è necessario ripensare il lavoro e esercitare quella sana metacomunicazione e autocritica utili a ottimizzare, migliorare e sviluppare idee, processi e percorsi.

La svolta
E a questo punto il sapersi raccontare diventa preponderante rispetto al “raccontarsela”. Nel secondo caso, compiano un autoinganno, andando a potenziare una narrazione aziendale che finisce spesso con l’espressione “abbiamo sempre fatto così”, atteggiamento incoraggiato da una Leadership e da un Management rigidi; del resto, “Il potere di tradizione non ama le sfumature [tanto meno le novità, ndr] e rifugge aperture che potrebbero mettere in discussione la sua autorità” [Celli, 61]. Nel prima caso, invece, guardiamo in faccia la realtà, quale essa sia, e costantemente alleniamo tutti, all’interno dell’azienda, a farlo, creando contesti di apprendimento e sviluppo che portano alla collaborazione, alla cooperazione e, infine, all’innovazione.

Storie per dare un nuovo significato al lavoro
Le storie ci raccontano i contesti all’interno dei quali ci muoviamo, che contribuiamo a costruire e ai quali ci sforziamo di dare un significato, rassicurante.
Abbiamo bisogno di struttura e di cornici di riferimento. È un nostro bisogno primario.
Attenzione, però: anche le storie, come abbiamo detto, possono diventare rigide e chiuse al futuro, all’inatteso, al nuovo. Rischieremmo, quindi, di rimanere impigliati nella “camera dell’eco”, un meccanismo di rinforzo di credenze consolidate che non consente di mettere in discussione alcunché.  I prigionieri della caverna di Platone sono naturalmente abituati a una realtà, a una narrazione, e non pensano minimamente all’esistenza di qualcosa di diverso da qualche altra parte.
Soluzioni? “Pensare per storie, creando contesti”, questa è la chiave.
È quanto mai importante che le aziende utilizzino lo strumento dello Storytelling non solo per raccontarsi all’esterno, ma anche, e soprattutto, per generare apprendimento interno.
Gli strumenti ci sono.
Il beneficio? Le ricadute? I vantaggi? Molti, davvero tanti, in termini di costruzione continua del gruppo, di fiducia, di rinnovamento…
E gli obiettivi? Sviluppo e crescita.
Ma, insomma, lo scopo qual è? Beh, è uno: dare un significato chiaro e trasparente al lavoro in modo che dipendenti e collaboratori si sentano parte di un contesto, davvero.
Strumenti e tecniche nella prossima puntata!

Riferimenti
G. Bateson, Introduzione in Mente e natura, Adelphi, Milano 1984.
G. Bateson, M.C. Bateson, Né soprannaturale né meccanico in Dove gli angeli esitano, Adelphi, Milano 1989.
P.L. Celli, Organizzazioni sull’orlo di una crisi di identità. Sul perché sia indispensabile tornare a generare storie e recuperare valori manageriali dispersi, Este, Milano 2022.
A. Cosso, Raccontarsela. Copioni di vita e storie organizzative: l’uso della narrazione per lo sviluppo individuale e d’impresa, Lupetti, Milano 2013.
A. Smorti, Storytelling. Perché non possiamo fare a meno delle storie, il Mulino, Bologna 2022.

Autore
Giacomo BruccianiFormatore e consulente aziendaledocente nei percorsi di formazione di PerFormat Business.